L’Università del Piemonte Orientale e la ricerca sul campo tra bassissima conoscenza della tecnologia e scarsa fiducia negli studi scientifici

Una indagine nazionale sul nucleare che parla chiaro: gli italiani sono divisi quasi a metà sul ritorno all’energia atomica, hanno una bassissima conoscenza della tecnologia e una scarsa fiducia negli studi scientifici, il cinquanta per cento non vuole il deposito nazionale «né vicino, né lontano» e un trenta per cento «non lo vuole vicino» però «va bene lontano». Variegato il risultato relativo all’analisi costi – benefici sull’impatto dell’ipotetico deposito sulle aree dei territori potenzialmente interessati. Ma quella che è la grande assente nel dibattito pubblico è l’economia. Quasi come se questo aspetto non fosse rilevante e tutta la discussione sia da ricondurre unicamente a dove trovare il posto per le scorie nucleari.

Una recente ricerca curata dall’Università del Piemonte Orientale (Upo) offre uno spaccato sociale interessante (e anche preoccupante) che è stato al centro del convegno “L’opinione pubblica sul nucleare in Italia. Prime evidenze da un’indagine nazionale” durante il quale sono stati presentati i risultati di una ricerca che ha analizzato il sentiment dei cittadini rispetto all’energia nucleare. Lo studio è stato realizzato anche da ricercatori dell’Upo nell’ambito del progetto ‘New perspectives on the nuclear issue in Italy’. La ricerca svolta dagli studiosi fa riferimento a un bando del 2022 finanziato dall’Unione Europea (NextGeneration Eu) e dalla Fondazione Compagnia di San Paolo. La presentazione, a Vercelli, è avvenuta nell’ambito del palinsesto del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) per la diffusione di una cultura sostenibile. Sono intervenuti i docenti e ricercatori Samuele Poy, responsabile scientifico del progetto, Dipartimento per lo Sviluppo sostenibile e la transizione ecologica (Disste); Carmen Aina, co-responsabile scientifico (Disste); Marta Ruspa, membro del team di ricerca, Dipartimento di Scienze della salute; Andrea Conti, collaboratore del team di ricerca, Dipartimento di Medicina traslazionale sempre dell’Upo. Il sondaggio di opinione è stato svolto nel mese di marzo su un campione rappresentativo di mille persone ed è stato curato da Format Research, istituto nato nel 1992 che si occupa di ricerche di mercato; sede a Roma e Pordenone, svolge attività di progettazione, realizzazione ed erogazione di sondaggi di opinione, ricerche di mercato, studi economici e sociali.

Pensare che l’opinione pubblica sia influenzata da eventi come lo scoppio delle centrali di Chernobyl del 1986 o di Fukushima nel 2011 appare abbastanza fuorviante. Moltissimi degli intervistati (la risposta suddivisa per fasce di età appare abbastanza omogenea) rispondono di esserlo «poco o per nulla», una percentuale di non molto inferiore lo è «abbastanza», oscilla fra il 22 e il 32 per cento chi dice di esserlo «molto o moltissimo».

In merito alla possibilità di produrre energia nucleare in Italia nei prossimi anni, il 35,5 per cento dice di essere a favore, il 39,7 per cento invece è contrario, e quasi il 25 per cento è neutrale. Chi sono i più favorevoli? La ricerca risponde così: gli uomini, i giovani fino ai 34 anni, i residenti al nord, i laureati, le persone che danno meno peso al disastro di Chernobyl. Nel nord ovest la percentuale dei favorevoli sale al 42,6, i contrari si fermano al 34,8 per cento. Tra i fattori che influiscono negativamente sul giudizio dei non favorevoli, ci sono «la preoccupazione per la gestione dei rifiuti radioattivi, i rischi per l’ambiente, la paura di incidenti catastrofici».  

La conoscenza della tecnologia è uno dei capitoli più negativi. Poco più di sei italiani su dieci sanno indicare correttamente «che oggi in Italia non ci sono centrali attive»: ben il 38,4 per cento crede che ve ne siano. Solo il 38,7 per cento conosce conosce la fissione, reazione fisica alla base del funzionamento delle centrali e il 33,8 per cento crede che la reazione sia la fusione nucleare. Il combustibile usato: il 72,8 per cento indica correttamente l’uranio, il 4,3 invece il petrolio e il 3,5 «altri combustibili».

Infine sulla presenza di un deposito nazionale di rifiuti radioattivi, il 46 per cento degli italiani ha una posizione contraria a priori, mentre i contrari ad averlo vicino (i cosiddetti Nimby, Not in my backyard, non nel mio cortile) sono il 30 per cento.

Solo il 13 / 14 per cento delle persone continuerebbe ad acquistare prodotti provenienti da aree vicine al deposito nazionale, il 20 / 24 per cento a visitare località, soggiornare in alberghi o partecipare a eventi sportivi sempre in zone a ridosso.